OBIEZIONE DI COSCIENZA: ECCEZIONE O STILE DI VITA?
Comunità di Base "Luogo Pio" - Livorno
Laboratorio Teologico 20/10/95
La domanda che dà il titolo all'incontro contiene già la risposta.
Se l'obiezione di coscienza è sincera, se nasce da una maturazione
personale, non può certo ridursi ad un episodio, ad un momento significativo
ma isolato da una vita vissuta secondo coscienza.
Ciò non toglie che l'ODC sia ancora sentita, addirittura tra gli stessi
obiettori, come nel caso del servizio militare, come un momento che
si esaurisce con lo svolgimento del servizio civile. Si sente dire
spesso: "Ha fatto l'obiettore alla Caritas...", come se essere ODC
e fare il servizio civile fossero sinonimi. Si arrabbierebbero sicuramente
gli anarchici, che rifiutano qualsiasi forma di coscrizione, civile
o militare.
Ma, a regola, si dovrebbe arrabbiare qualunque ODC. Dire "ho fatto
l'obiettore" è sintomatico di un sentire l'obiezione come un fatto
legato ad un periodo, ad un momento, appunto l'anno di servizio alla
patria. Una concezione inaccettabile per chi ha pagato la propria scelta
con anni di carcere
Ma è opportuno iniziare guardando in quali forme si è concretizzata
un'ODC:
Quando parliamo di ODC viene subito in mente l'ODC al servizio militare
(riconosciuto in parte da una legge dello stato, la 772 del 15/12/1972).
In realtà la legge 772 fa riferimento solo all'ODC all'uso delle armi,
ma ciò che l'obiettore rifiuta è ovviamente tutta l'istituzione militare;
il fine dell'odc non è non partecipare alla guerra, ma far cessare
tutte le guerre.
Riguardo al riconoscimento ed alla tutela da parte dello stato dell'ODC,
che non riguarda solo quella al servizio militare, è forse inutile
ricordare che esso non ha niente a che vedere con la sincerità dell'ODC.
Basta ricorda che la 772 condanna ad una pena da 2 a 4 anni chi, non
riconosciuto odc dall'apposita commissione, persiste nel rifiuto di
prestare il servizio militare (art. 8). Ma è alla rovescia! Lo stesso
rifiuto di svolgere il servizio militare nonostante ciò non sia consentito
dalla legge è la dimostrazione più ovvia della sincerità di tale obiezione.
Si potrebbe forse anche dire che la tutela dell'ODC tramite una legge
dello stato faccia venir meno un carattere essenziale dell'ODC, cioè
il rifiuto di obbedire ad una legge ritenuta ingiusta; se è lecito
non seguire una norma non c'è più "obiezione", ma "scelta" secondo
coscienza. A dimostrazione di ciò basta guardare il numero degli odc
prima e dopo la legge del 1972. Non c'è dubbio che la legge abbia tolto
tensione alla scelta di ODC.
Tra gli ODC al servizio militare si distinguono quelli che scelgono
l'obiezione totale, contrari a qualunque forma di coscrizione. E' il
caso tipico degli anarchici, che lo definiscono "approccio della non
sottomissione". Gli anarchici contestano allo Stato il potere di imporre
un servizio di leva (civile o militare) ai cittadini.
Diverso è il caso dei Testimoni di Geova, che accettano di compiere
un servizio per il paese, ma si rifiutano un servizio civile che sia
gestito dal Ministero della Difesa e dall'apparato militare. La loro
motivazione è puramente religiosa, il loro intento non è una presa
di coscienza collettiva o l'abolizione dell'esercito.
Nel memoriale di un tdg odc possiamo leggere: "Come posso io che già
sono soldato di Cristo e sostenitore del regno di Dio, per il quale
ho già dedicato e dedico tutte le mie energie fisiche e mentali, mettermi
al servizio di una nazione fino a dedicare ad essa le stesse cose che,
come cristiano, sono tenuto a rendere a Dio, ed in particolare la vita?
Con tutto ciò non sono antimilitarista, non combatto le presenti istituzioni
militari e non ostacolo i programmi militari di alcuna nazione. Le
nazioni sono libere di avere o non avere un esercito ed ogni persona
è libera di servire in esso senza che io la censuri. Chiedo soltanto
che, con uguale rispetto della libera scelta, venga tollerata la mia
posizione di neutralità." (1954).
Ci sono ovviamente altre espressioni di ODC, meno conosciute e meno
sviluppate dell'ODC al servizio militare, ma comunque significative.
Alcuni esempi sono:
-ODC fiscale alle spese militari. L'obiettore fiscale detrae dalle
tasse da pagare quella percentuale che viene destinata dallo stato
alle spese militari (circa il 5,5%), versando ugualmente la quota
su un Fondo per la Pace ed offerta allo Stato (che la rifiuta sistematicamente)
affinché venga utilizzata per iniziative nonviolente. L'obiezione fiscale
è un reato amministrativo per cui sono previste pene che arrivano al
pignoramento di beni. Gli obiettori fiscali sono disposti a contribuire
economicamente alla difesa dello Stato, ma ritengono più corretto lasciare
al cittadino la scelta di sovvenzionare una forma di difesa militare
o, in alternativa, di finanziare progetti di difesa popolare nonviolenta.
-ODC sul luogo di lavoro
in genere industrie che producono o commerciano
materiale bellico o imprese con gravi impatti ambientali. Qui la sanzione
è evidente; si perde un'opportunità di lavoro.
-ODC del personale medico e paramedico sull'aborto
anch'esso riconosciuto
da una legge dello stato.
Un caso particolare di ODC sull'aborto fu quello di Baldovino I, re
del Belgio e quindi capo di stato (laico). Baldovino I si rifiutò di
firmare la legge che regolamentava l'aborto approvata dal Parlamento
belga. Per superare l'impasse fu trovato lo stratagemma di un'autosospensione
temporanea dalla massima carica dello stato, per il tempo necessario
che la legge entrasse in vigore senza la sua firma.
-ODC di medici e studenti universitari alla vivisezione
anch'essa
tutelata dalla legge.
Da questi esempi possiamo già individuare il carattere specifico dell'ODC:
l'odc si rifiuta di violare un diritto altrui (diritto alla pace degli
altri popoli, diritto alla vita del feto, diritto ad un'ambiente vivibile
da parte di tutti). Quindi l'ODC di coscienza, anche se è necessariamente
un'azione individuale, non è certo un'azione individualista. L'ODC
è un atteggiamento nonviolento, verso gli altri uomini, verso il feto,
verso l'ambiente.
Questo ci libera da tutti coloro che invocano la coscienza per interessi
personali (come il famoso cannibale), o che giustificano violenze con
la l'alibi del rispetto delle culture (mutilazioni sessuali alle donne,
come la pratica dell'infibulazione). Siamo evidentemente dalla parte
opposta di un comportamento nonviolento. Se il mio atteggiamento è
violento, non lo posso chiedere alle mie idee, alla mia cultura, alla
morale comune, alle dichiarazioni dei diritti umani; devo essere sensibile
a quello che l'altro sente come violenza.
Altro carattere specifico dell'ODC è la sua inderogabilità. La coscienza
non dà scelta, per essere coerenti non si può che obiettare. Lo scrisse
in un articolo del 1963 anche Balducci: "Un cattolico in caso di guerra
totale ha, non dico il diritto, ma il dovere di disertare". Per questo
articolo Balducci fu denunciato e condannato a 8 mesi di reclusione.
L'altro carattere specifico dell'ODC, lo abbiamo già accennato, è il
"rifiuto", implicito nel termine "obiezione". L'ODC, nella sua accezione
negativa, è un atto di volontà di opporsi ad un fatto ingiusto, spesso
imposto o garantito da una legge dello stato (imposto come il servizio
militare o le tasse, garantito come l'aborto o il traffico di armi).
Si concretizza quindi in un contrasto tra la coscienza individuale
e una legge dello stato (e questo può succedere con una certa frequenza
nella maggioranza delle persone), contrasto che però in questo caso
diventa insanabile, o perlomeno così è "sentito", e portare ad un rifiuto
categorico di obbedire alla legge.
Ma quando è giusto porre la coscienza sopra la legge dello stato?
Il principio dell'obbedienza alle leggi dello stato e quindi della
supremazia di queste rispetto alla coscienza individuale sembra essere
scontato in tutti i sistemi giuridici degli stati moderni. Invece abbiamo
un caso storico molto importante in cui questo principio è stato rovesciato.
Il Tribunale Internazionale di Norimberga, nel famoso processo del
dopoguerra contro i criminali di guerra nazisti, arrivò ad una sentenza
di condanna non riconoscendo il principio invocato dagli ufficiali
nazisti per il quale loro avevano solamente obbedito a degli ordini,
e stabilendo invece che essi avrebbero dovuto rifiutarsi di obbedire
ad un ordine di un superiore quando esso fosse stato ingiusto e crudele.
Ovviamente solo la propria coscienza poteva dire quali ordini fosse
palesemente ingiusti e crudeli.
Il contrasto tra coscienza e legge ha avuto spesso, fin dall'antichità,
un carattere religioso: obbedienza alle leggi dello stato e obbedienza
a Dio. Così si giustificava il primo ODC cristiano al servizio militare,
Massimiliano, nel 295, di fronte al proconsole Dione: "A me non è lecito
prestare il servizio militare, dato che sono cristiano". Proconsole:
"Fa' il militare se non vuoi morire". Massimiliano: "Non faccio il
soldato. Tagliami pure la testa, io non faccio il soldato per questo
mondo, ma servo il mio Dio". Proconsole: "Chi ti ha messo queste idee
in testa?". Massimiliano: "La mia coscienza e colui che mi ha chiamato".
Massimiliano fu decapitato.
Il conflitto tra cristianesimo e stato riguardo all'esercito fu presto
risolto con l'editto di Costantino (Milano, 313); Cambia ovviamente
anche la teologia con la teoria della guerra giusta di S. Agostino.
Al riguardo è successo un fatto curioso in Polonia: la Corte Suprema
Polacca, recentemente, ha confermato un'ordinanza rifiutando le rivendicazioni
di un obiettore pacifista, poiché era di religione cattolico-romana.
La Corte ha stabilito che la fede cattolica non è una fede pacifista,
in quanto ammette la teoria della guerra giusta: quindi chiunque professi
tale religione non può essere pacifista.
La reazione della chiesa cattolica ai primi casi di ODC in Italia è
significativa del concetto di coscienza concepito allora. Nel 1948
obiettò al servizio militare Pietro Pinna, non legato ad alcuna chiesa.
Con il suo gesto l'ODC divenne un caso nazionale, anche se fu preceduto
da casi di ODC di pentecostali e Tdg.
Un articolo apparso su "La Civiltà Cattolica" così valutava il gesto
di Pinna:
"i giudici che hanno condannato il giovane Pinna a due anni di reclusione
come renitente alla leva, hanno compiuto il loro dovere (...). La pericolosità
del soggettivismo, che con essa si intende rendere legale, si può già
vedere in atto nel rifiuto degli operai di qualche industria bellica
di lavorare alla produzione delle armi e nel minacciato sciopero dei
portuali, per non scaricare le armi inviate dall'America ai Paesi occidentali
aderenti al Patto Atlantico. Ecco un'altra obiezione di coscienza,
non più individuale come quella del Pinna, ma collettiva, la quale
sarebbe perfettamente legittima, se fosse legittima l'altra di cui
abbiamo fatta parola."
Un altro articolo rincarava la dose: "Se il diritto si accompagna solamente
alla verità e al bene, non si possono scorgere o riconoscere diritti
dove la verità e il bene non esistono". "Se si avverasse il caso che
un individuo abbia la coscienza soggettiva certa e imperturbata di
poter far banchetto con le carni del suo prossimo e a questa coscienza
si accompagnasse il diritto di farsi valere nella vita sociale, come
viene affermato, si dovrebbe lasciargli piena libertà d'azione e l'autorità
pubblica commetterebbe un delitto intervenendo. (...) Noi vorremmo
domandare ai sostenitori dei diritti della coscienza soggettiva che
cosa risponderebbero a un amico, che si presentasse a casa loro e li
invitasse ad uscire, perché ha la certezza soggettiva che quella casa
gli appartenga."
Un altro caso significativo della cultura cattolica di allora fu il
telegramma inviato dal Ministro della Difesa Giulio Andreotti al sindaco
di Firenze La Pira dopo che questi, nel 1961, decise di far proiettare
il film "Non uccidere" del regista francese Claude Autant-Lara, dedicato
all'odc e vietato dalla censura italiana. Il telegramma concludeva:
"non so dove andremo a finire mettendoci al di sopra della legge e
della morale comune". Per questa azione La Pira subì anche un'azione
giudiziaria.
Il Concilio comunque aprì uno spiraglio agli obiettori. Nello Gaudium
et spes (n. 79) si afferma infatti che "Sembra inoltre conforme ad
equità che le leggi provvedano umanamente al caso di coloro che, per
motivi di coscienza, ricusano l'uso delle armi, mentre tuttavia accettano
qualche altra forma di servizio della comunità umana". Dopo il concilio
il numero di credenti cattolici dichiaratisi odc è cresciuto continuamente,
fino a rappresentare oggi una delle forze più vive nel campo della
pace.
Anche Capitini, estraneo a qualsiasi chiesa o religione istituzionalizzato,
imposta il discorso sottolineando il carattere trascendente, e quindi
religioso, dell'ODC, togliendole un carattere puramente occasionale:
"I due aspetti dell'odc sono: quello legale (arrivare ad una legge
che riconosca l'obiezione di coscienza); quello più propriamente morale
e religioso (iniziare coerentemente un atteggiamento dell'animo diverso
da quello di fare la guerra, dell'armarsi, dell'uccidere)." (1950).
Per concludere:
Se l'odc è veramente una scelta di coerenza e di fedeltà con quello
che nel nostro intimo sentiamo, in un determinato momento del nostro
cammino di maturazione nella vita, come assoluto ed inderogabile, sia
esso Dio o un valore, non è pensabile una sua frammentazione. Il valore
della vita, se inteso come assoluto, inderogabile, non può avere nè
scadenze (l'anno di servizio civile sì, prima e dopo no), nè luoghi
esclusivi (in ospedale sì, fuori no), nè mondi privilegiati (la vita
umana sì, l'ambiente in cui vivo no; oppure, viceversa, la balenottera
azzurra sì, il contadino brasiliano no).
Essendo una scelta di coerenza e fedeltà, non può che essere estremamente
impegnativo. Serve il coraggio di camminare da soli, di essere minoranza,
di andare contro la morale comune, di accettare una condanna affinché
un giorno quella scelta diventi un diritto. Don Milani, parlando degli
ODC, così rispose ai cappellani militari che bollarono gli obiettori
come vili: "La sentenza umana che li ha condannati dice solo che hanno
disobbedito alla legge degli uomini, non che sono vili...Aspettate
ad insultarli. Domani forse scoprirete che sono dei profeti. Certo
il luogo dei profeti è la prigione, ma non è bello star dalla parte
di chi ce li tiene".
A questo punto possiamo togliere l'obiezione di coscienza dalla sua
accezione negativa di rifiuto di qualcosa, sia pure ingiusto. Un comportamento
nonviolento non è mai passivo, solo rifiuto, ma è sempre un atteggiamento
propositivo.
Capitini affermava nel 1949: "L'ODC non è un atto negativo, ma affermativo
di un valore, di una visione ideale, fondazione di un rapporto spirituale".
Allora dire no al sistema militare, al suo esercito, alla sua obbedienza
cieca, alla sua guerra giusta, in realtà è un dire sì alla convivenza
tra i popoli, tutti fratelli, è dire sì all'obbedienza alla propria
coscienza ed alla responsabilità verso gli altri, è dire sì ad un uso
attento del nostro denaro e dire sì ai sistemi di credito alternativo
che non usano i nostri soldi per strangolare i popoli del sud con il
debito internazionale o per finanziare loschi trafficanti di armi,
è dire sì alla DPN come alternativa democratica e non violenta all'esercito,
è dire sì alla disobbedienza civile, allo sciopero e a tutte le latre
forme di lotta nonviolenta.
Dire no all'aborto è un dire sì alla vita che nasce ed alla vita che
è nata, è dire sì ad una vita dignitosa, libera dalla povertà, dalle
ingiustizie e dagli sfruttamenti, è dire sì ad una legge che sconfigga
l'aborto clandestino, ma soprattutto che educhi a rapporti sani e ad
una paternità e maternità responsabile, sia verso il futuro figlio
che verso tutto il resto del mondo già sovrappopolato, è dire sì alla
vita dell'innocente ma anche a quella del condannato a morte da una
giustizia che abbandona gli ultimi invece di recuperarli.
Dire no alle fabbriche ed alle pratiche che distruggono il nostro ambiente,
e quindi noi stessi, è dire sì ad un pianeta in equilibrio, è dire
sì alle generazioni che verranno dopo di noi e che ci hanno, incautamente,
lasciato in gestione l'ambiente in cui dovranno vivere, è dire sì ai
popoli del sud che si vedono derubati le risorse alimentari per ricevere
in cambio i nostri rifiuti tossici, è dire sì al commercio equo e solidale,
perché non di carità hanno bisogno i popoli del sud, ma di giustizia.
E' evidente che per un programma del genere non basta una vita!