La rilettura e la riflessione sulla storia e sui testi
di Chiara e Francesco mi è parsa estremamente
significativa ed attuale in quest'estate angosciata dalla
tragedia jugoslava, dall'orrore indicibile di fronte a cui
è forte il senso di impotenza. Un uomo e una donna del
1200 risultano anche oggi personaggi di particolare
fascino.
Alla riconosciuta originalità e particolarità di
Francesco si aggiungono ogni volta che a Lui ci
avviciniamo, particolari nuovi: non sapevo, per esempio,
che i laici che aderivano al III ordine francescano, in
piena era delle crociate, era chiesto di rinunciare
all'uso delle armi...).
Chiara era per me figura più controversa, per il rigore
della clausura in cui si era rinchiusa per cui ho ascoltato con molto piacere il
messaggio delle fonti clariane: Chiara emerge come donna caparbia,
autodeteterminata (la prima donna d aver scritto una regola per le sue sorelle,
quando il Concilio Lateranense del 1215 aveva vietato la Costituzione di nuovi
ordini, lasciando le donne subalterne a congregazioni maschili e una regola
"mite" nel senso non di meno rigorosa, ma di piu' attenta e funzionale ai
bisogni reali), una donna che ha preso la parola uscendo dal ruolo tradizionale
di suora o sposa (va in convento come conversa, dopo aver ottenuto la sua dote
per donarla ai poveri), una donna autorevole e radicale nelle sue scelte
(resistè alle pressioni papali sul punto della "povertà" nella sua regola e
sostituì al tradizionale "vergine, madre, sposa" la caratterizzazione "sorella,
madre, sposa", passando da una visione di donna funzionale al maschio, una
centralità della relazione con le altre e con gli altri, di servizio e non di
subordinazione).
Le forme del rapporto tra Chiara e Francesco sono
largamente influenzate dai tempi (Francesco nella seconda parte della sua
vita subisce un pò la mentalità medievale che gli impone di scrivere nella
regola "Tutti i frati evitino di incontrare le donne"; Chiara è veramente
eversiva quando raccomanda alle sorelle che si recano fuori del convento di
"laudare Idiio quando vedessero uomini o altre creature").
Mi preme però sottolineare il COME del loro rapporto: una relazione di due
soggetti, ricchi e diversi, nel segno della gratuità, della creatività e del
dono reciproco,
nella reciproca differenza.
Nel famoso
sogno, Chiara riferisce di essere stata
allattata da Francesco che il capezzolo di lui diveniva oro in cui specchiarsi. L'immagine dello
specchio è
emblematica della reciprocità e distinzione.
I due non si separarono mai, come
riferisce Tommaso da
Celano, anche se furono distanti per lunghi periodi.
Furono riferimento costante e autorevole l'uno per l'altra:
Chiara fa riferimento costante a Francesco, anche nella regola, mentre
Francesco chiede consiglio a Chiara sull'opportunità di ritirarsi in eremo e le
invia Stefano da Narni da curare, perchè Le riconosce forza taumaturgica e
confida a frate Leone, dopo aver visto il volto di Chiara illuminato dalla Luna
nel pozzo: Dopo Dio e il firmamento c'è Chiara.
La relazione fra Chiara e Francesco è di pace nel senso
più pieno del termine.
Sappiamo che sia Chiara che Francesco hanno
incontrato la
guerra, in tutta la sua orrenda brutalità (Francesco
andando a Damietta dal Sultano, Chiara incontrando i
saraceni che combattevano ad Assisi).
L'atteggiamento di pace ("pace e bene" è il saluto
francescano) è stato sperimentato in concreto nel
confronto con un nemico visibile e non edulcorato, ed è
la scelta di modo di relazione del rapporto tra Chiara e Francesco. Antropologia e psicanalisi ci insegnano
che la relazione fondamentale è quella uomo/donna. Quello che si vive a
livello di grandi relazioni umane (troppo spesso dominate da non rispetto e da
tendenza al dominio) è il ricalco di quel che avviene in questo
luogo primordiale.
Ciascuna riduzione delle
differenze a uguaglianze
significa riduzione di soggettività e quindi di rapporti vivi e fecondi. Accettare il pensiero e la
pratica della
differenza significa rinunciare al possesso dell'altra/o
(assorbito nella "persona" neutra, in realtà costruita
dal mondo occidentale sul maschile) per riconoscerla come diversa/o da sè. La differenza sessuale rappresenta il
cammino più difficile, ma anche la chiave per raggiungere la coesistenza
pacifica con le altre diversità.
Riconoscere l'altro uomo/donna differente, al di fuori del binomio superiore/inferiore, accentando il suo diritto all'esistenza e alla dignità apre al riconoscimento di altre forme di diversità (razze, religioni, etnie....) Si può affermare non "sono differente da te", ma "siamo differenti fra noi" con la conseguenza di una continua relazione senza maggiore autorità dell'uno sull'altra.
Un capo scout a cui chiedevo il senso della diarchia
maschio femmina in ogni grado della struttura associativa, mi ha risposto "è
naturale, siamo gruppi misti" Mi sembra importante capire che la relazione che
deriva dal rispetto e dall'amore per il differente, irriducibile a sè, è base ineludibile di una politica democratica.
Concludendo: solo uomini e donne che amano e rispettano la
parzialità dei loro punti di vista e se ne assumono la responsabilità possono
rendere più democratiche le
famiglie culturali, religiose, politiche.
Rinnovamento della politica è cominciare a muoversi
con coscienza di essere una parzialità, una parte del mondo che riconosce la
propria forza e rappresenta la propria
differenza.
Fino a quando non si cambierà il rapporto tra uomo e
donna, si perpetuera' il voler dominare la natura, non
soltanto quella cosmica e quella della donna, ma anche
quella dei giovani, delle altre razze, e dei cittadini di
altri paesi, di altre culture.
Solo una nuova relazione,
una nuova amicizia tra i generi, tra natura e cultura, ci
insegnerà la via di altre consuetudini e di altre leggi
nel rispetto dell'altro in quanto altro. Essenziale
diventa allora ricordarci che ciascuno di noi non è
tutto, non è onnipotente, non è uomo e donna, ma l'uno o
l'altra: questa dimensione di incompletezza ci dà la
nostra identità, implica la necessità della relazione
con l'altro, il bisogno dell'altro, di essere capito e di
capire chi ci sta vicino.
E la relazione, per essere felice, richiede un lavoro
lungo, faticoso, quotidiano.
Rompere il guscio narcisistico, riconoscere che non si
può fare a meno degli altri e delle altre, essere capaci
di
riconoscersi come parziali, vedere l'altro per come
effettivamente è.
Il precetto evangelico ama l'altro come te stesso può
essere tradotto: