Comunicare per liberarsi
Amani significa Pace
in Kiswahili. È una lettera di padre Kizito agli amici e un foglio di collegamento della associazione Amani.
Nairobi, 8 settembre 1999
Carissimi,
siamo già in settembre, il Duemila è ormai alle porte. Che cosa pensate di fare per il Giubileo? A Koinonia stiamo cercando di immaginare qualcosa che ci faccia sentire la presenza del Dio Vivente col Suo popolo, fra gli ultimi. Se riusciremo ad organizzare qualcosa a cui anche qualcuno di voi potrà partecipare, vi faremo sapere per tempo.
Intanto, continuiamo tranquillamente a svolgere le attività di ogni giorno, perché è solo nella fedeltà quotidiana che si fanno le cose che sono davvero importanti. E di cose a Koinonia, a Kivuli e nella Casa di Anita ne succedono tante. Tenervi aggiornati sta diventando veramente un'impresa difficile.
Anche quest'anno, in agosto, abbiamo fatto il tradizionale campo di lavoro e abbiamo ricevuto tanti ospiti. Il tempo è stato particolarmente freddo e umido, ma il campo è stato un'esperienza positiva per tutti. Adulti italiani, keniani e zambiani, insieme ai nostri bambini, hanno riflettuto sui diritti dei minori, non partendo dalla teoria, ma dalla vita concreta dei nostri Kamau, Francis, Ibrahim e Owino...
Una ragazza del campo mi diceva che "stando a Kivuli un mese si conoscono personaggi straordinari". Ne faccio conoscere qualcuno anche a voi? A Kivuli ci sono dai primi di luglio quindici donne Nuba con sei bambini. Una sera, durante il campo, hanno preparato per tutti una straordinaria cena, seguita da canti a danze tradizionali. Sono qui per quattro mesi, per studiare l'inglese. Noi le ospitiamo e gli insegnanti del British Council vengono tutti i giorni a far lezione. È un progetto finanziato da un'organizzazione olandese, che vuole aiutare i Nuba ad uscire dall'isolamento, anche linguistico, in cui sono confinati nel cuore del Sudan, così che possano comunicare con le pur poche persone che riescono a raggiungere le loro montagne. Le donne sono le persone ideali perché trasmettono la lingua ai loro figli e a tutti i bambini del villaggio. Qui a Kivuli hanno ricostruito nelle poche stanze che abbiamo messo a loro disposizione un piccolo villaggio Nuba... Fra di loro c'è anche la donna che Francesco Zizola ha fotografato con la figlioletta nata da pochi minuti, foto usata come copertina di Nigrizia nel dicembre del 1997 e nel calendario di Amani per il mese di dicembre 1998. Si chiama Hosna e ieri sera era felicissima perché il marito, che è soldato sulle montagne Nuba, le ha fatto una bella sorpresa: con grandi difficoltà è riuscito a venire a Nairobi per un incontro importante ed è passato da Kivuli. Hanno chiesto di fare una foto insieme e poi Hosna mi ha detto: "Ora Kivuli è anche il punto d'incontro dei Nuba. E se, come dicono, le nostre montagne sono novantanove, questa certamente è la centesima!".
A Kivuli c'è anche Moses, che crede nella parola data e nella giustizia. Nell'agosto del '98 Moses frequentava il secondo anno di scuola superiore, in un collegio, e il papà, che viveva a Molo, una cittadina a duecento chilometri da Nairobi, pagava la retta; Moses non conosceva nessun altro parente, neanche la mamma che se ne era andata molti anni prima. Poi un sera, in uno dei cosidetti "scontri tribali" (cosidetti, perché in realtà sono istigati da importanti personaggi politici), la casa paterna è stata attaccata da un gruppo armato ed è stata bruciata, con dentro il padre e diverse altre persone. Moses si è trovato da solo, senza più nessuno che pagasse la retta, espulso dalla scuola e costretto a vivere in strada. In settembre è venuto a Nairobi a cercar fortuna, ma è riuscito a sopravvivere solo mangiando dai bidoni delle immondizie. Poi un giorno ha letto sul giornale che il Presidente aveva promesso che sarebbe stata fatta giustizia e tutte le vittime degli scontri tribali avrebbero riavuto le loro proprietà. Allora Moses si è messo in testa di parlare col Presidente per farsi restituire il terreno su cui sorgeva la casa del padre. Per settimane ha cercato di entrare nel palazzo presidenziale, ha inseguito il corteo di auto con cui il Presidente si muove, ha scritto lettere. Il risultato è che ha collezionato schiaffi, pugni e calci dai poliziotti incaricati della sicurezza. Ma non si è scoraggiato. Poi, dopo aver letto di Kivuli su un giornale locale, si è messo a cercarmi. Mi ha trovato ai primi di gennaio, e mi ha chiesto con insistenza di metterlo in contatto con il Presidente. Era ormai vestito di stracci, magro da far paura. Di solito a Kivuli non prendiamo ragazzini già così grandi, ma gli ho detto che poteva restare con noi, mentre cercavo di fare il possibile per farlo incontrare col Presidente. La sua storia era così bella, e se anche fosse stata falsa meritava un premio! Poi abbiamo abbiamo fatto delle verifiche, e da maggio siamo riusciti a reinserirlo a scuola. Moses è rimasto un ragazzo silenzioso, soffre ancora molto per quello che gli è successo, e si tormenta perché vorrebbe ritrovare la mamma. Ma la vicinanza di persone amiche e due sostanziosi pasti quotidiani hanno fatto il miracolo; Moses adesso è cresciuto molto (quando vado in città vorrebbe sempre accompagnarmi per farmi da "guardia del corpo"), riesce ad essere abbastanza sereno e va molto bene a scuola.
Ma a Kivuli c'è anche Antony, che invece non crede proprio più negli adulti. Il Signore solo sa quali esperienze ha passato. Un giorno dello scorso marzo, una giornalista italiana cercava di intervistare i bambini, e Anthony, che ha 14 anni, si dava le arie di dire qualche parola nella nostra lingua. Poi, tirandomi per il maglione, mi ha detto, "Kizito, un giorno o l'altro mi porterai in Italia con te, non è vero.". Io gli ho risposto, "Chissà, magari fra qualche anno ci sarà un'occasione". E lui, improvvisamente serissimo, "No. Allora sarò adulto, e sarà inutile andare in un altro paese, perché tanto gli adulti non capiscono niente delle cose nuove". La giornalista gli ha subito domandato; "Ma Anthony, sei proprio sicuro che gli adulti non capiscono niente?". E lui, senza pensarci neppure un attimo: "Certo. Non vedi quante guerre stanno facendo?"
Ai primi di settembre a Kivuli è arrivato anche Paolino. Lo hanno portato qui Mark e Stephen, i due giovani di Koinonia che sono andati sulle montagne Nuba per tenere un corso per maestri, da maggio a metà agosto. A fine corso non riuscivano a tornare, perché i pochi aerei che vanno sulle montagne Nuba non potevano atterrare a causa del piogge che avevano reso impraticabili le piste. Avevo conosciuto Paolino quando aveva nove anni, a Teberi, nell'agosto del '95, durante il mio primo viaggio fra i Nuba. Lo avevo poi rivisto diverse volte e ne avevo notato l'intelligenza, la vivacità e il grande senso di responsabilità. Paolino ha perso il papà quando aveva cinque anni; oltre alla mamma ha due fratellini più piccoli. Quando sono andato sui Nuba lo scorso maggio Paolino ha fatto quasi novanta chilometri a piedi, attraverso un territorio impervio e pericoloso, per incontrarmi. Mi ha trovato sul grande spiazzo, dove era in corso un grande spettacolo di cultura Nuba, mi ha tirato da parte e mi ha detto: "Sono venuto a vederti, perché voglio chiederti di portarmi a Nairobi a studiare. Voglio imparare per tornare ad insegnare ai miei amici". Serissimo e determinato. Quando son tornato a Nairobi ne ho parlato con Mike e Jane, di Koinonia, e la loro reazione immediata è stata: "Fallo venire, lo terremo con noi come un figlio". E così è stato. Paolino adesso sta scoprendo un altro mondo. Tutto è nuovo per lui. Sgrana gli occhi di fronte alle cose che non conosce, la radio, il computer, l'asciugacapelli, ma anche una semplice mela o un ananas. Non smette di raccontare delle case "così alte!" che ha visto in città, e non gli sembra vero di potermi parlare a distanza grazie il telefono. Attraverso lui stiamo riscoprendo molte cose che davamo per scontate; attraverso i suoi occhi spalancati, molte cose tornano ad essere nuove anche per noi.
A Ngong invece, e più precisamente nel quartiere di Ololua, da metà agosto abbiamo accolto le prime otto bambine. Sì, finalmente la Casa di Anita è stata aperta. Collaboriamo con "Rescue Dada", un'associazione della diocesi di Nairobi che recupera le bambine di strada, soprattutto quelle a rischio di diventare prostitute perché la mamma esercita questo mestiere sui marciapiedi del centro città. "Rescue Dada" ci affida i casi più difficili, quelli per i quali non ci sono altre possibilità. Entro la fine dell'anno vorremmo ospitarne altre otto, per un totale di sedici. Il cuore della casa di Anita sono due coppie di Koinonia, Mike e Jane, e Patrick e Leonida, che si prendono cura delle bambine come in una famiglia allargata. Le prime ospiti sono felici, e l'atmosfera è molto bella. L'altro giorno le due coppie hanno fatto un incontro con alcuni amici, spiegando le attività della Casa e le loro motivazioni personali. Ed anche il "rude" Gian Marco, secondo testimoni attendibili, si è ritrovato con le lacrime agli occhi.
Pochi giorni fa è arrivato a Nairobi anche il dottor Ziada. Alcuni di voi se lo ricorderanno come il dottore sudanese fatto prigioniero quattro anni fa dai governativi insieme all'italiano dottor Meo, e che poi è tornato a lavorare in Sudan, sulle monta-gne Nuba, in un progetto finanziato dall'AIFO. Ziada è un personaggio su cui si potrebbe scrivere un libro. Adesso ha portato a Nairobi due ragazze che devono essere operate per un gozzo che sta degenerando, e un bambino di sei/sette anni, nato con una malformazione al viso, una specie di doppio naso. Per il resto è un bel bambino, sano e vivace. Stiamo cercando di trovare un chirurgo plastico che gli ridoni sembianze più accettabili.
Il vostro sostegno ci permette di far studiare personaggi come Paolino, Moses e le bambine di Anita, di far operare il piccolo Nuba deformato, di cui non so ancora il nome. E di fare tante altre cose, come far funzionare il dispensario che abbiamo aperto a Kivuli con un'infermiera a tempo pieno.... Ma di questo vi racconterò un'altra volta, così come di Nadia e Giovanni, la coppia di Lecco che è venuta a stare con noi per un paio d'anni...
Solo un'ultima cosa: che cos'è che fa funzionare Kivuli? Senz'altro il vostro aiuto. Ma c'è anche qualcos'altro, di più profondo. Forse si potrebbe fare il paragone con il pozzo che abbiamo fatto perforare lo scorso maggio. Prima avevamo problemi seri, perché ormai nel nostro cortile vivono almeno un'ottantina di persone, e le tubature dell'acquedotto comunale erano quasi sempre vuote, potete immaginare con quali problemi. Adesso il pozzo perforato quasi non si vede, nascosto com'è sotto un tombino. Eppure c'è una perforazione che va fino a 175 metri di profondità, con una pompa che attraverso tubature sotterranee distribuisce acqua a tutte le case; acqua che serve per far da mangiare e tenerci puliti, per innaffiare le piante e i fiori quando non piove. L'acqua è cosi abbondante che la possiamo distribuire, a un costo minimo, anche ai nostri vicini. Ma a Kivuli, a Koinonia e alla Casa di Anita c'è anche un'altra acqua. È un'acqua altrettanto nascosta, ma è acqua viva che genera vita.
padre Kizito
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