MONDO: REPORTAGE DAL SAHARAWI

Insegnanti, dottoresse, politiche: alle donne dello Stato "in esilio" del Saharawi è affidata la gestione dei campi-profughi. Il referendum per l'autodeterminazione di questo popolo è stato rimandato al 2000. Ma Fatma, Sukaina, Masuda sanno aspettare la libertà

La repubblica delle donne

testi di SIMONA SERAVESI    foto di CHIARA BORBONI
in "Avvenimenti" n.228 del 21.09.99 "Avvenimenti - Ultime Notizie, giornale dell'Altritalia"
Nel distretto regionale di Ausserd, nella piccola piazza di una delle dayre (provincia), un uomo anziano entra nella sala principale del Comune costruita in rozza pietra, all'interno di un piccolo cortile. Afferra un rudimentale microfono e in hassanya, il dialetto arabo caratteristico di molte popolazioni nomadi del Maghreb, annuncia al villaggio lo svolgersi dell'assemblea settimanale che si terrà di lì a poco. "Sahara, Sahara" urla per due volte, e poi ancora prima di spegnere il microfono "Sahara... Sahara", uniche parole a noi familiari.
L'interno della stanza è sovrastato da scritte in arabo: "Indipendenza, indipendenza con via pacifica o con la guerra"; "Né stabilità né pace prima del ritorno... indipendenza totale"; "Mobilitazione di tutte le energie nazionali per vincere la battaglia decisiva". L'assemblea sta per cominciare, il sindaco e la responsabile campeggiano al centro della stanza, circondati da un folto gruppo di donne avvolte nei loro malefa variopinti. In alto, sulla parete centrale, c'è l'immagine del presidente della Rasd (Repubblica araba saharawi democratica): Mohamed Abel Aziz.
Nessun uomo, oltre al sindaco, si trova nella stanza, ma non si tratta di un evento particolare, come racconta Fatima, responsabile e vice-sindaca delle riunioni di questa provincia. La maggior parte degli uomini, fin dall'occupazione del Marocco, è militante nel Fronte Polisario (Fronte per la liberazione della Saguiat el-Hamra e del Rio de Oro, territori originari di questo popolo), l'esercito di liberazione sorto nel 1973. La gestione dei vari aspetti della vita dei campi-profughi è stata affidata, fin dall'inizio, ad un Comitato costituito per la maggior parte da donne.
Costretti a vivere questa fetta di deserto pietroso situato nei pressi di Tindouf, nel sud-ovest algerino, i Saharawi hanno realizzato una delle esperienze politiche e sociali più interessanti del nostro secolo: la costituzione di uno Stato in esilio.
Il ruolo delle donne è stato determinante e, come spiega Fatma, ciascuna donna saharawi dispone di ampie responsabilità a tutti i livelli della società.
All'interno dell'organizzazione comunale, gestita da un consiglio locale, vengono portati avanti tutti i programmi dalla vita comunitaria: sanità, scuola, posta, cultura, gioventù, lavoro. Una particolare attenzione viene data a tutta la popolazione più debole: handicappati, anziani, malati in generale.
Il consiglio, composto da un presidente, una segreteria generale ed una rappresentante delle varie specialità si svolge due volte alla settimana. Esiste poi a livello di ciascuna dayra, un consiglio più ampio composto dai quattro presidenti dei comuni (i sindaci) e dai direttori dei vari settori, sempre a maggioranza femminile. Solo il 5% degli uomini sono rappresentanti in queste assemblee.
Le donne saharawi ci tengono a sottolineare che il loro ruolo sociale non è frutto esclusivamente dell'assenza degli uomini impegnati al fronte.
Come molte altre donne, Fatma appartiene all'Unfs (Unione Nazionale delle donne sahrawi), organizzazione fondata nel 1974 con il compito di una continua ed incessante sensibilizzazione a tutte le donne del loro ruolo sociale, della consapevolezza del loro ruolo politico e culturale. L'Unfs possiede anche un mensile, "8 marzo", che viene stampato in Spagna e in Algeria. Come tante altre iniziative la rivista non possiede molti finanziamenti e la sua sopravvivenza risulta spesso in bilico.
La scolarizzazione è uno dei capisaldi di questo piccolo "Stato in esilio", una scuola spesso costruita con strutture misere tramite gli aiuti internazionali, aiuti che permettono anche il sostentamento alimentare, ma efficiente da un punto di vista culturale e sociale. Della scuola si sono soprattutto occupate le donne che hanno fondato il 14 marzo del 1978 la scuola "27 febbraio" (data di fondazione della Rasd), un apparato voluto anche dal Fronte Polisario. In questa scuola l'emancipazione del ruolo della donna nella società rappresenta uno degli obiettivi principali, obiettivi anche in preparazione dell'indipendenza di un paese in cui al primo posto esiste la volontà di far rispettare tutti i diritti umani. All'interno dell'ordinamento di studi del "27 febbraio", esistono molte specialità a cui indirizzarsi a seconda delle proprie capacità: educazione, lingue, sanità e attività artigianali quali ad esempio la fabbricazione di tappeti.
Molte donne continuano spesso gli studi superiori all'estero, in Algeria, Spagna, Cuba, ex Unione Sovietica, Libano. Questo consente una maggiore specializzazione in certi settori molto importanti, come la sanità: la maggior parte dei medici è costituita da donne.
Sukaina, insegnante al terzo grado della scuola per bambini di 7-8 anni, ci ospita nella sua tenda, nella dayra Leguera, al barrio 4 e mentre sorseggiamo il gustoso tè all'erba ci racconta della sua vita quotidiana. La tenda è molto accogliente, tappeti persiani ne ricoprono interamente il pavimento mentre materassi piuttosto piccoli e leggeri caratterizzano, insieme ad un piccolo tavolo in legno, l'unico arredamento.
Di fronte alla tenda, come per quasi tutte le famiglie, c'è una minuscola cucina piuttosto spoglia anch'essa con a lato un'altra fetta di "casa" costruita con quel terriccio sabbioso che spesso cede alle intemperie del tempo. La piccola stanza oltre la tenda è necessaria perché le estati sono tremendamente calde e le punte massime possono toccare anche i 60 .
Sukaina lavora per la scuola 8 ore al giorno, il marito è nell'esercito ed è quindi assente per tutta l'intera giornata. I suoi tre figli, Jakup, Sidahmed e Mohamed frequentano rispettivamente l'asilo e la scuola.
Il padre di Sukaina si trova nei territori occupati, come tanti saharawi che sono rimasti al di là di quel muro "elettrificato" e di quei territori minati impossibili da oltrepassare. Non si vedono da 25 anni, lo sente solo per telefono una volta all'anno. In realtà, ci spiega, non sa come stia realmente e nemmeno quali siano le condizioni di vita nei territori occupati, forse un giorno lo scoprirà o forse già lo immagina ma per riserbo sovrappone il silenzio alle parole.
Sukaina con il volto ricoperto di sbeda, la crema blu contro il sole e le mani ed i piedi delicatamente dipinti di henné, non dimentica la presenza dei figli nonostante i ritmi difficili di una giornata lavorativa, e nel calore della tenda c'è anche il tempo per ascoltare: i bambini i grandi, i grandi i bambini. Lo spazio per la narrazione, le storie e le poesie di quelle terre abbandonate che i figli non hanno ancora conosciuto. La Radio National Sahrawi tiene vivo il ricordo con le musiche e i canti della nostalgia.
La madre di Sukaina, Fatimatu, aspetta un passaporto per poter andare a trovare il figlio malato di una forte allergia, comune a molti bambini, che vive a Las Palmas presso una famiglia. Ma per avere un passaporto algerino occorrono 200 dollari e quasi nessuno li possiede. Famiglie spesso spezzate, questo è il prezzo dell'esser profughi e dell'aver vissuto quella fuga iniziale imposta, non voluta, terribilmente crudele.
Masuda, negrita come dicono da queste parti, per indicare senza alcuna discriminazione, coloro che hanno la pelle più scura perché discendenti da lontani antenati resi schiavi, conserva nella sua tenda una serie di valigie rigide appoggiate le une sulle altre. Un cenno, un ammonimento a guardare sempre al futuro nell'attesa di poter riempire quei bagagli e riprendere la via verso casa. Ma nel frattempo non è lecito a nessuno dimenticare i propri doveri, lì nel villaggio, dove Masuda come tante donne cerca ogni giorno con forza e coraggio di far in modo che tutto funzioni per i grandi e i più piccini. Masuda è una donna molto colta, ha studiato nove anni a Cuba. La sua vita non è stata facile: i genitori sono morti durante la guerra e i suoi sette fratelli si trovano nei territori occupati. Si sentono per telefono ma devono fare molta attenzione, nei territori è vietato comunicare con i propri familiari dei campi profughi. Potrebbero avvenire delle ritorsioni. Così Masuda è rimasta sola con la figlia Aicha poiché anche il marito si trova lontano: fa il taxista in Mauritania e solo una volta l'anno ritorna ai campi.
Questa donna lavora per un'associazione norvegese che si occupa di sminare i vasti territori attorno ai confini del Sahara Occidentale. Insegna ai bambini e ai più grandi il pericolo delle mine, diffuse in numero molto elevato, non quantificabile. Cerca di far conoscere i cartelli che indicano la presenza di mine e ne mostra tutti i tipi esistenti sul territorio. La maggior parte, ci sottolinea, sono di provenienza americana.
Tramite un intelligente gioco di dadi viene dimostrato come comportarsi in caso di pericolo e vengono fatte anche delle prove. I bambini imparano a ripercorrere le loro stesse impronte in caso di presenza di campi minati.
Le donne costituiscono la maggior parte dei lavoratori, lavoratori non retribuiti poiché nei campi profughi non esiste una moneta. Il lavoro lo si svolge non solo per sopravvivere all'inagevolezza di una terra inospitale ma anche per realizzare il progetto di una società sovratribale, per essere alla pari col mondo moderno sforzandosi insieme di sostituire gli antichi valori, quali la nobiltà del sangue o il coraggio nella guerra, nuovi valori come l'efficienza e la capacità di gestirsi politicamente.
La struttura matrilineare della famiglia, la presenza nel parlamento di ben 4 donne, il coraggio delle donne saharawi, contribuisce in massima parte alla realizzazione e alla conservazione della propria patria nonostante l'assenza fisica di essa. Il presidente Mohamed Abel Aziz dice che il Marocco sta facendo di tutto per opporsi al Referendum per l'autodeterminazione che per l'ennesima volta è stato rimandato all'anno 2000. Ma il popolo saharawi sa attendere la propria libertà.
A giudicare dall'impegno costante delle donne l'attesa non sfocerà mai nella sfiducia ma sempre lo sguardo sarà verso il Sahara occidentale, dove c'è il mare con la sua brezza ed i giardini fioriti e soprattutto la terra dove ridare un volto al proprio passato.