Il piu' originale esperimento sociale di Israele, in bilico fra
rinnovamento e rischio di snaturamento
KIBBUTZ, ADDIO?
di Valerio Ochetto
SEGNOSETTE N.33/34 -5/12 ottobre 1997
L'ultimo a rinunciare alle "case dei bambini" e' stato il
kibbutz di Bar Am, in Alta Galilea, pochi mesi fa. Ma la decisione
e' stata presa, in assemblea generale, a grande maggioranza, come
nei kibbutz che, uno dopo l'altro, l'avevano preceduto negli anni
passati. stata cosi' posta la parola fine alla forma piu'
radicale di vita collettiva, quella di crescere i figli tutti
assieme, fuori dalle famiglie, in appositi nidi collettivi, a
partire dai primissimi giorni dopo la nascita, sino a formazione
completata, alla maggiore eta'. Ed e' singolare notare che si e'
arrivati a modificare questo che appare come un pilastro
ideologico del collettivismo per motivi soprattutto pratici,
dettati dall'esperienza: scarseggiavano sempre piu' le persone
disposte e capaci a occuparsi dei nidi d'infanzia a tempo pieno,
sia pure a rotazione, mentre i genitori preferivano tenersi i
figli accanto anziche' essere svegliati nel cuore della notte e
dover correre al nido perche' i figli bambini li cercavano
piangendo.
Il kibbutz (che significa raggruppamento, stare assieme forse la
forma piu' originale dello stato d'Israele e risale ai primi
insediamenti sionisti in Palestina: il primo kibbutz fu fondato a
Degania vicino al lago di Tiberiade nel 1909, ancora sotto governo
dell'Impero ottomano. Nel secondo dopoguerra, fondato nel 1948 lo
stato d'Israele, il primo ambasciatore dall'Unione Sovietica,
visitando un kibbutz disse: "Voi avete realizzato un esperimento
collettivo in maniera piu' totale che da noi in Russia". Oggi
pero' questa forma costitutiva di Israele sta subendo una profonda
trasformazione: il motto che per Marx era la formula - o l'utopia
-- del comunismo realizzato "da ciascuno secondo le sue capacita',
a ciascuno secondo i suoi bisogni", non e' piu' legge assoluta in
tutti i kibbutz, dove si sta affermando e prevalendo la
meritocrazia. Effetto della necessita' per i kibbutz di competere
sul mercato, per sanare i profondi deficit di bilancio che hanno
accumulato negli anni con una gestione volta piu' a sviluppare le
attivita' sociali e culturali che a curare l'economicita'. E,
d'altra parte, emerge una certa disaffezione dei giovani verso la
vita in kibbutz, cosi "protettiva", ma anche chiusa in un cerchio
limitato e limitante.
Il mensile francese "Le Monde Diplomatique" --che in Italia viene
diffuso del Manifesto - di tendenza gauchiste, parla in un suo
articolo dell'agosto 1995 di "funerali di un mito". E gli sembra
far eco lo scrittore israeliano Amos Oz, che viene da un kibbutz
ma ora vive in una grande citta', quando dice che l'Israele
contemporanea e' "post-kibbutz", l'Israele "delle scuole
rabbiniche e della speculazione edilizia". Ho quindi deciso di
visitare piu' kibbutz, dal nord sino al centro del Mar Morto, per
cercare di capire se si tratta di evoluzione vitale oppure di
segni di collasso, e cerchero', com'e' possibile in poco spazio,
di dar conto delle risposte e della mia interpretazione. Il
kibbutz di Sasa (spiga) sorge in Alta Galilea, sulle rovine di un
preesistente villaggio arabo. Ne sono soci diversi italiani. Edna
Calo', che a Roma faceva parte del movimento sionista scout e qui
insegna animazione teatrale, mi spiega cosa ha significato la fine
delle "case dei bambini". I genitori ormai, nel kibbutz come
ovunque nel mondo, tendono a passare la serata in famiglia, quindi
sono diminuite le occasioni di incontro sociale. Esiste un
magnifico club, che ho visto semi-deserto, salvo che il sabato
sera. E anche il ristorante comune e' semi-vuoto per il pasto
serale, solo gli scapoli lo frequentano, le famiglie semmai
passano a ritirare la loro parte di cibo. Edna aggiunge che con il
ritomo dei bambini in famiglia e' nato un problema abitazioni, le
coppie hanno dovuto stringersi, il kibbutz varare un piano di
nuovi, piu' ampi appartamenti. Edna ha proposto e realizzato
l'apertura del kibbutz al turismo, con la creazione di un albergo
"Vacanza fra le nuvole" e di un ostello per la gioventu', che sono
diventati una fonte importante di reddito collettivo.
A Sasa vive anche Varda Yatom, una famosa ceramista, invitata alla
Biennale di Faenza. Varda versa i suoi guadagni nella cassa
collettiva, come faceva anche lo scrittore Oz quando viveva in
kibbutz. A Sasa "il budget personale" - nei kibbutz non si parla
di salario --rimane ancora egualitario, i trasporti sono tutti
collettivi, i consumi pesano per il 70 per cento sul budget
collettivo e solo per il 30 per cento su quello personale. Ma, chi
vuole, puo' farsi mettere un contatore familiare per
l'elettricita'.
Il kibbutz Merom Golan (picco del Golan) sta all'estremita' nord-
est di Israele, in territorio conquistato alla Siria dopo la
"guerra dei sei giorni", nel 1967. Un kibbutz di frontiera, che
per motivi turistici ha accentuato l'aspetto da far west aprendo
un cow-boy pub. Omer Viner, responsabile ecologico e
dell'allevamento brado del bestiame, 'di notte mi porta in jeep
sin a ridosso delle luci della citta' siriana di Kuneitra, lungo i
reticolati del confine, e intanto mi enumera, dagli occhi che si
accendono nelle tenebre, le varie specie animali: sciacalli, gufi,
porcospini e tanti altri.
A Merom Golan spira un'aria diversa da Sasa, si definiscono "i
piu' avanzati" (nella privatizzazione). Qui i soci possono
comprarsi un'auto privata, al ristorante collettivo si paga con
coupon individuali. L'assemblea generale, che una volta si
riuniva ogni sabato sera per discutere e decidere, ora non si
convoca quasi piu', le decisioni le assumono direttore, segretario
e un consiglio piu' ristretto. Ma anche a Merom Golan, considerata
una punta della "liberalizzazione", rimangono paletti ben segnati:
la privatizzazione non intacca la proprieta' collettiva della
terra e delle attivita', il divario fra "budget personali" al
massimo e' di uno a due, passando dal giardiniere al manager
incaricato della gestione. Ein Ghedi (la fonte del capretto) e'
un kibbutz che domina il Mar Morto dai primi contrafforti della
montagna. Non e' solo una posizione invidiabile, ma anche la
gestione di fonti termali famosissime, che combinano i fanghi e
l'acqua solforosa delle piscine con l'accesso diretto alle acque,
altrettanto ricche di sali minerali, del lago piu' basso del mondo
(oltre quattrocento metri sotto il livello del mare). Ma i
kibbutzim non si sono limitati a gestire l'esistente in natura,
hanno creato un "giardino botanico intemazionale" da una terra di
pietra quasi compatta, lavorando a 53 gradi medi di temperatura.
Inutile aggiungere che il kibbutz Ein Ghedi e' una delle mete
turistiche piu' frequentate. L'incaricato delle relazioni
pubbliche, David Frank, mi espone quella che puo' diventare la
nuova filosofia del kibbutz: "Noi possiamo muoverci agevolmente
nell'economia di mercato, perche' dotati di adattabilita' e forte
motivazione, al pari delle piccole e medie imprese. Tuttavia
vogliamo mantenere la nostra specificita', coniugando economicita'
ed egualitarismo: infatti, possiamo dare ai nostri soci
soddisfazioni diverse dal guadagno personale, come
l'autoaffermazione. Qui chiunque ha delle idee valide puo'
realizzarle, esempio il giardino del futuro che ha piantato, con
l'ausilio del kibbutz, un nostro socio, composto da tante varieta'
di cactus". Ma ad Ein Ghedi c'e' chi la pensa diversamente,
Shirley Tark che studia management a Tel Aviv.
"Sull'egualitarismo siamo divisi quasi a meta'", specifica, "e
molti dei nostri giovani stanno cercando qualcosa di diverso.
vero che il kibbutz sviluppa, o aiuta a sviluppare, le nostre
potenzialita', ma sovente poi non ci consente di applicarle, dati
i suoi limiti. Ecco perche' molti giovani, dopo il servizio
militare, lasciano il kibbutz di origine". Le statistiche dicono
che quasi il 50 per cento subisce questa tentazione, poi pero' un
20 per cento ritorna, magari dopo un lungo viaggio in India, meta
vagheggiata dai giovani israeliani. Rimane un 30 per cento che
lascia, che rivela come il kibbutz non sia piu' il luogo
privilegiato di una gioventu' che anche qui si sta svincolando da
militanze politiche e soprattutto ideologiche.
Al termine di questa inchiesta mi sembra di non poter condividere
il giudizio di "Le Monde Diplomatique" e della sinistra
internazionale su una caduta inarrestabile dell'esperienza del
kibbutz. Il kibbutz si e' basato storicamente su due pilastri: il
socialismo e il sionismo. La sua funzione ideale e storica di
elemento fondante di Israele rimane, malgrado il "revisionismo"
che viene dagli ambienti religiosi haredim piu' estremi. Quanto
al socialismo, evidentemente qui come ovunque nel mondo e' messo
in discussione, ma credo si possa parlare, a proposito del
kibbutz, piu' di evoluzione che di dissoluzione. Una evoluzione
che, almeno per il momento, porta ad accettare l'economia di
mercato sul piano economico, e a correggere piu' che a rinnegare,
gli eccessi di egualitarismo sul piano sociale intemo.
A ben vedere, anche nell'ambito di una economia competitiva e non
"protetta" (come era negli anni 50 e 60) i kibbutz hanno risorse
invidiabili: a loro sono affidate molte delle terre piu' belle e
panoramiche d'Israele, destinate a diventare oasi di turismo,
tradizionale o altemativo, e di verde. In questa direzione sta
probabilmente il futuro di un kibbutz meno militante, meno
"cellula del futuro" e piu' "normale", ma non privo di memoria
storica.
QUANTI KIBBUTZ
I kibbutz sono oggi 270 con 124.000 soci, il 2,9 per cento della
popolazione israeliana, mentre storicamente erano arrivati a
sfiorare il 4 per cento. Pero' conservano un notevole ruolo, ie
nell'agricoltura, dove fomiscono ancora il 49 per cento ella
produzione; coprono il 7 per cento dell'industria e il 14 per
cento delle esportazioni. Tutti i kibbutz aderiscono a un
movimento: il Takam (Movimento unificato dei kibbutz) di tendenza
socialista riformista e' il piu' forte con 169 adesioni, seguono
la "Giovane guardia" (Haartzi Hatzair) piu' radicale, con 84
adesioni, e i "religiosi" (Hakibbutz Hadati) con 17 adesioni.
Recentemente (luglio '97) il settimanale hared (religioso)
estremista "Kol Hashavua" ha scritto che "la via corretta e'
spazzar via l'ultima memoria di questo accidente nella storia del
popolo ebraico".