Sant'Anna, una strage
di Stato 12 agosto 1944, a
Sant'Anna di Stazzema il primo eccidio
nazifascista contro civili inermi. Ma la
verità ancora non affiora
RAFFAELE PALUMBO -
La ricerca della verità
per capire cosa accadde a Sant'Anna di Stazzema
nella giornata del 12 agosto 1944 dura da 56
anni nel corso dei quali si sono alternati
inchieste individuali, tentativi di ricerca dei
responsabili, condanne passate sotto silenzio,
disinteresse di tutte le forze politiche. Ma,
oggi, chi ricorda la strage di Sant'Anna di
Stazzema? Chi ne conserva la memoria, chi sa
quanti morti ci furono, come furono uccisi e
perché? E chi saprebbe dire chi fu il
responsabile di quella strage? A lungo si
è creduto che fosse il maggiore Walter
Reder, comandante del XVI battaglione delle SS,
il condottiero della "marcia della
morte" che portò i Nazisti da un
capo all'altro della valle padana, lungo la
linea gotica fino a Marzabotto e ai suoi 1836
morti. Era il 1 ottobre del 1944. Kesserling
aveva già emanato il suo editto per
incitare le truppe a combattere la resistenza
"con qualsiasi mezzo". Eppure a
comandare la strage di Sant'Anna non fu
Reder. All'alba del 12 agosto del 1944,
quattro colonne di truppe delle SS composte da
500 uomini si apprestarono a svolgere un'azione
militare nella Valdicastello, alla cui
sommità c'è Sant'Anna di Stazzema.
Tre colonne raggiunsero il paese, la quarta si
dispose per bloccarne l'accesso. L'operazione fu
lunghissima, dalle 7 di mattina alle 16; quasi
dieci ore in cui nazisti e fascisti si
dedicarono in maniera scientifica all'eccidio.
Le prime tre colonne, composte da tedeschi e da
italiani, distrussero, bruciarono e uccisero
tutto ciò che incontrarono a Sant'Anna e
nei borghi sottostanti. Fino al rogo finale,
nella piazzetta principale del paese. Il numero
delle vittime, frutto di un calcolo
approssimativo, fu di 560 morti tra uomini,
donne, anziani, bambini dai 15 anni ai 15 giorni
di vita. Nel paese c'erano un migliaio di
persone. La popolazione di Sant'Anna era
praticamente raddoppiata per la presenza degli
sfollati dalla Versilia. E poi Sant'Anna si era
costruita il mito di paese inespugnabile, di
luogo in cui i tedeschi non arrivavano e in cui
la resistenza era un fenomeno diffuso tra tutti,
anche tra chi non poteva combattere. Sulle
montagne serravezzine e stazzemese la resistenza
passiva fu fortissima. E infatti a scappare,
all'arrivo dei tedeschi furono solo gli uomini,
temendo un rastrellamento simile a quello del 30
luglio, quando quattro SS furono uccise dai
partigiani. Gli altri, quelli che rimasero, non
immaginavano che quella di Sant'Anna sarebbe
stata la prima strage compiuta contro civili
inermi. Come ha scritto Manlio Cancogni, "a
mezzogiorno tutte le case del paese erano
incendiate. (...) I tedeschi a Sant'Anna
condussero più di 140 esseri umani
strappati dalle case, sulla piazza della chiesa.
Li ammassarono contro la facciata della chiesa,
poi li spinsero nel mezzo della piazza, una
piazza non più lunga di venti metri e
larga altrettanto. Quando puntarono le canne dei
mitragliatori contro quei corpi li avevano tanto
vicini che potevano leggere la paura nei loro
occhi. Il massacro richiese meno di un
minuto". Le storie raccontate dei pochi
sopravvissuti sono impressionanti. Raccontano di
una ferocia raccapricciante, di persone
ammassate nelle stalle cui veniva poi dato
fuoco, del rogo collettivo nella piazza
alimentato con le panche della chiesa, con la
paglia e i materassi strappati dalle case.
Raccontano del parroco, don Innocenzo Lazzeri,
anche lui sfollato dalla Versilia, a cui fu
detto di scappare e che, invece, non
scappò e quando capì cosa stava
accadendo uscì sul sagrato della chiesa
gridando incredulo con un bambino morto tra le
mani. Fu freddato con due colpi alla testa.
Raccontano di bambini di pochi mesi strappati
dalle braccia delle madri per essere
scaraventati nella scarpata più vicina,
di bambini fucilati a freddo, ritrovati con il
cranio fracassato dal calcio dei fucili o
violati con un bastone nell'ano. "Molti
di questi fatti - racconta lo storico Michele
Battini - erano impensabili senza la presenza
degli italiani: SS italiane, repubblichini,
mercenari, irregolari. Inoltre dalla ritirata
del 4 giugno del '44 iniziò la sindrome
da incattivimento dei nazi-fascisti comandati in
quella zona da Simons, il vero responsabile di
molti episodi del genere". Tra gli
italiani presenti c'erano anche alcuni uomini
della zona costretti a portare le munizioni ai
nazi-fascisti. Alcuni di questi furono uccisi
alla fine della giornata, durante la discesa a
valle, altri 47 furono trovati morti qualche
giorno dopo a San Terenzio. "La strage di
Sant'Anna - ha sostenuto Giorgio Bocca - fa
emergere il ruolo importante avuto dai
collaborazionisti. In questo caso, in
particolare, dei fascisti toscani che si
ritiravano ormai senza speranze coprivano la
ritirata dei tedeschi". Un mese dopo,
gli americani catturarono un soldato tedesco
dalla cui testimonianza si apprese che la strage
fu organizzata e gestita dal II Battaglione - al
cui comando c'era l'austriaco Anthon Galler -
del XXXV reggimento della XVI divisione delle SS
comandata da Max Von Simons. La scoperta del
nome di Galler - poi rifugiatosi nella Spagna di
Franco, residente in una cittadina della Costa
Brava e morto nel 1993 - si deve alla
giornalista tedesca Christiane Kohl e risale
ormai a due anni fa. Perché Galler non
è mai stato cercato, rintracciato e
processato? E perché nessuno cerca Albert
Ekkerard, addetto allo stato maggiore della XVI
divisione SS, che è ancora vivo e che
all'epoca, come responsabile dell'ufficio
informativo della divisione di Simon scrisse e
inviò a Berlino il rapporto sulla strage
di Sant'Anna, classificando l'azione come
un'iniziativa contro i ribelli che aveva portato
all'uccisione di oltre 400 nemici? E
perché non è mai stata fatta
chiarezza sugli italiani che parteciparono
all'eccidio? Era gente del posto, "si
trattava anche di gente conosciuta - racconta
Enio Mancini, il direttore del Museo della
Resistenza di Sant'Anna - indispensabile per
un'azione del genere". Pochi giorni fa,
la Commissione giustizia della Camera ha votato
- dopo una lunga battaglia portata avanti da
Rosanna Moroni - per istituire un'inchiesta
conoscitiva sulle stragi del "biennio
fatale", 1943-45. Verranno ascoltati il
vice presidente del Consiglio della magistratura
militare, il procuratore generale militare e il
procuratore generale di Verona. Ha votato contro
l'indagine conoscitiva, un onorevole di Forza
Italia. Motivazione: la legislatura sta per
finire quindi è meglio rimandare tutto.
"E poi - dice l'onorevole - bisognerebbe
occuparsi anche delle 'altre'
vittime". Questa tardiva iniziativa del
parlamento arriva proprio in concomitanza con il
Giorno della memoria ed insieme ad altre
iniziative locali. Come quella della Regione
toscana che sta lavorando ad una mappa delle
stragi di quel biennio e che costarono la vita,
solo in Toscana, a 4.500 vittime civili nel
corso di 280 eccidi. Un'unica richiesta,
insomma, aprire "l'armadio della
vergogna", quello trovato nel 1994 -
durante il processo Priebke - con le ante
rivolte contro il muro. All'interno, 695
fascicoli riguardanti 15mila vittime dei
nazi-fascisti. Tutte le stragi nazi-fasciste
tranne Marzabotto e le Fosse ardeatine. La
timbratura sui fascicoli, risalente al 1960,
porta la dicitura "archiviazione
provvisoria". Il fascicolo su Sant'Anna di
Stazzema contiene le testimonianze raccolte dai
carabinieri nel 1946. L'esistenza
dell'"armadio della vergogna" diventa
di dominio pubblico nel 1996, proprio dopo
un'inchiesta giornalistica di Giustolisi. Da
allora il Consiglio della magistratura militare
apre un'inchiesta che termina nel 1999. Ma chi
impedì la spedizione dei fascicoli alle
procure di competenza? De Gasperi, Andreotti,
Pacciardi? E soprattutto, perché? La
risposta a queste domande sta probabilmente in
un altro fatto, anche questo divenuto noto ai
più in queste settimane: i diecimila
morti di Cefalonia. Soldati italiani che
presidiavano l'isola greca e che furono
massacrati dai tedeschi dopo l'8 settembre del
1943. Qui l'eccidio fu voluto da Hubert Lanz,
comandante dell'armata tedesca nell'Epiro. Anche
quei morti a 57 anni di distanza non hanno
ottenuto giustizia. Ma cosa c'entra Cefalonia
con Sant'Anna? C'entra perché oggi
sappiamo - anche grazie ad un carteggio tra gli
ex ministri Gaetano Martino e Paolo Emilio
Taviani - che esisteva la precisa volontà
politica di non tirare fuori vecchie storie che
avrebbero potuto avere l'effetto di
criminalizzare il nuovo alleato, a tutto
vantaggio dei comunisti. I politici di allora
ammettono oggi di aver occultato fatti gravi
(come Cefalonia) per ragion di stato. Quando
Reder venne condannato nel 1951 finì per
diventare una sorta di capro espiatorio. La
pietra tombale fu calata e rimasero pochi fatti
a tenere desta la memoria: Marzabotto, Boves, le
Fosse Ardeatine. La situazione e gli equilibri
politici richiedevano dunque il silenzio per la
pacificazione nazionale e internazionale. Oggi
il clima potrebbe essere mutato e pagine di
storia lasciate in bianco potrebbero essere
scritte.
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