PROVE GENERALI DI GUERRA MONDIALE
Luisa Muraro - in "Via Dogana" n.43 maggio 1999
Questo titolo mi e' venuto in mente ieri. E oggi, 10 aprile, nei titoli di testa dei giornali, c'è la guerra mondiale. In mezzo allo sconcerto, alla pena, all'impotenza, alla passione, alla rabbia, provavo anche una specie di
contentezza: per che cosa mai? Il titolo e' venuto quando ho capito perche'.
Sono contenta, si', perche' ho trovato la risposta ad una domanda che mi facevo da quando, bambina, sono andata sull'altipiano di Asiago: come puo' succedere una guerra mondiale? Nei libri si trova risposta al perche', anzi molte, ma nessuna al come. Che mi pareva introvabile: come puo' un intero popolo, anzi molti, convincersi a distruggere, a odiare, a volere la morte? Come si fa a portare migliaia di maschi in buona salute al massacro di sé e dei loro simili?
Com'è che diventano nemiche le persone, le cose, le parole prima frequentate con rispetto e amicizia! E come si dispone l'animo di persone garbate come le mie studentesse, i miei vicini, il mio fruttivendolo, all'idea che abbiamo dei
nemici e che, allora, possiamo massacrare i boschi, le cattedrali, le creature umane? E che fine faranno i nostri progetti, il mutuo, la festa di laurea, il viaggio all'estero, l'operazione, la casa da ridipingere, il negozio da aprire...
In una parola, com'è che si passa dalla pace alla guerra?
Adesso, dal 24 marzo 1999, lo sappiamo. Abbiamo scoperto che puo' essere una cosa stranamente facile, come sognare. La guerra durerà pochissimo e ci muoiono solo gli altri. Anzi, non si chiama guerra, ma ingerenza umanitaria...
"Umanitario" fa
pensare ad un umano piu' elementare e vasto, di massa, giusto e democratico, un
po' come le spiagge della Romagna. Quelli che l'hanno decisa o che la
sostengono, capi di governo, dirigenti sindacali, militanti di partito,
giornalisti, intellettuali, sono di sinistra. Molti di loro vengono dal
Sessantotto. In piu' l'opposizione e' d'accordo e la guerra ha la maggioranza
fra i rappresentanti del popolo. Il popolo, chissa'. A Verona un tassista,
maschio, giovane e dialettofono, ha commentato: "Ma cosa fai?" e poi,
consapevole di trasportare una docente: "Pensavo che i savesse... no i ga' miga
studia'?". Hanno studiato, oh si', quelli che decidono le guerre, basta guardare
le parole che usano. Oltre all'ingerenza umanitaria, ci sono le famose bombe
intelligenti, ci sono gli effetti collaterali, c'e' la difesa integrata del
territorio, ecc.
A proposito, non chiedetemi nulla su
come la Nato sia arrivata alla decisione, perché non ne so nulla, pur avendo
letto un sacco di giornali. Ho capito solo questo, che, per processare un
deputato in odore di corruzione sono richiesti procedimenti lunghi, complicati e
dall'esito incerto. Ma in guerra un popolo di dieci, cinquanta, cento milioni di
abitanti ci può finire dall'oggi al domani senza saperlo e senza volerlo. Pare
che basti un giro di telefonate fra due o tre persone, come organizzare una gita
al mare. (Ringrazio il cielo che insegno filosofia e non educazione civica).
Nella fretta del primo momento, il quotidiano Le monde ha dato la notizia con questo titolo: Lo Nato riceve
l'ordine di bombardare. Chi c'era nell'inconscio del titolista, mi sono chiesta, al posto del fino allora semisconosciuto segretario Nato, Solana: Clinton? Dio?
o Nessuno?
Tutto indica che il passaggio alla terza guerra
mondiale sara' di tipo onirico, come insognarse, direbbe il mio tassista. Ci
sono pero' dei segnali. Uno e' che gli intellettuali vanno d'accordo fra loro.
Un altro - classico - e' il disprezzo verso i maschi pacifisti. "Imbelli", ecco
la parola, e poi: sono fuori dai tempi, sono degli idealisti, ecc. Abbiamo
sentito anche la famosa battuta che "in politica bisogna sporcarsi le mani".
Aiuto!
Tra i segnali c'e' anche che si perde la capacita' di ragionare. E' vero che questo vale per la propaganda in genere, anche di quella dei ditaloni
rigati all'uovo Barilla. Alcuni sostenitori dell'intervento militare della Nato contro la Iugoslavia (cosi' si chiama, sul Calendario De Agostini 1999,
quell'entita' che molti chiamano Serbia), hanno detto: se l'Europa fosse intervenuta contro Hitler nel 1938, non avremmo avuto l'Olocausto. Ragionamento aberrante,
quasi che l'enorme, inaudito male patito dagli ebrei e da altre minoranze giustificasse qualsiasi cosa avesse potuto prevenirlo (tipo, il bombardamento atomico della Germania da parte degli Alleati, se la bomba atomica fosse
stata costruita in tempo utile). Ma cosi' non e', per la ragione che il fine non giustifica i mezzi. 0, piu' precisamente, per la ragione che, quando si tratta di esseri umani, ci sono i mezzi e i fini, ma i primi non sono subordinati
ai secondi. Simone Weil arriva a dire che sono i mezzi, semmai, a giustificare i fini. E poi c'e' l'analogia fra le due situazioni che non va. Quando si
tratta di storia, l'analogia risulta spesso ingannevole. Lo è sicuramente quella
tra Hitler e Milosevic. Con gli esseri umani, cioé con la storia, è ogni
volta diverso e non è vero che, "a guardare il passato, si vede meglio", come
si legge sul settimanale Diario anno IV numero 15. La cui copertina (nera e
rossa, con il ritratto di Milosevic sovrastato dal titolo del libro scritto dal
giovane Hitler, Mein Kompf) e' propaganda e nient'altro. Più del "guardare e
vedere", servirebbe conoscere i fatti, per esempio che il famigerato Mein Kompf,
in italiano La mia battaglia, fu stampato e ristampato da un nostro stimato
editore, Valentino Bompiani, fino al 20 giugno 1943, con una grafica ed una cura
editoriale di prim'ordine.
Veniamo a quella che mi pare la
scoperta piu' importante di queste prove generali di guerra mondiale. Prima del
24 marzo 1999 si poteva pensare che, per farci passare dalla pace alla guerra,
fosse necessaria una bella dose di propaganda, e questo resta confermato.
Pensavamo, inoltre, che questa dose ci sarebbe stata somministrata da una
potente macchina propagandistica creata allo scopo, e questo invece non e' vero,
per che' la macchina propagandistica necessaria al passaggio alla guerra e' gia'
pronta: siamo noi, sono i nostri parlamenti, le nostre case editrici, le nostre
scuole, i nostri giornali e, soprattutto, la televisione. Che non deve, non
devono trasformarsi cosi' o cola' per rendere verosimile quello che, fino al
giorno prima, tutti eravamo d'accordo nel considerare cosa impensabile e folle:
l'entrata in guerra dell'Europa. Non devono perche', modellati come sono (e come
siamo), dal pluralismo democratico e dalla pubblicita' commerciale, sono gia'
pronti a farei credere (e noi a credere) che, se le cose vanno cosi', una
ragione ci sara' e ce la dicono, anzi ce la mostrano: guardate e vedete. "Queste
immagini valgono piu' di un lungo articolo", dicono, come se si trattasse di
scegliere una marca d'automobili. Non arrivano a essere convincenti e, bisogna
dire, diversamente dalla pubblicita' commerciale, non nascondono le ragioni di
quelli che sono contro. Ma siccome sono fatti non per dire il vero, ma il
verosimile, danno una finzione di senso a cose che non ne hanno alcuno, rendendo
cioe' plausibile la guerra. E tanto basta perche' il resto lo fara' la nostra
impotenza.
Perfino
"il manifesto", che pure ha sempre tenuto una chiara posizione contro l'intervento
Nato ha fatto fatica a dare la vera notizia, quella dal salto
nell'insensato.
Di questo si tratta, che siamo stati sradicati dal presente per essere buttati
nel futuro, non quello immaginato, ma quello reale, che contiene l'impensata e oscura ripetizione del passato. Per questo dico che il passato non fa luce e
quella che pure fa, nasconde le differenze del presente, e le differenze sono
forse decisive per strapparci alla ripetizione.
Piuttosto,
ripensiamo a quello che (ci) e' successo in questi mesi. Nelle prime settimane,
i giornali hanno venduto di piu', cosa notevole in un paese come l'Italia. Vuoi
dire che si e' dato piu' tempo alla lettura. Dunque, non e' vero, non sempre,
che le immagini possano valere piu' delle parole.
Dunque, una volonta' di pensare ha contrastato il passo alla
domanda di finte evidenze. La volonta' di pensare era anche una volonta' di
parlare? Non sempre, spessoinfatti abbiamo rinunciato a parlare. Quello che ci
toglie la parola (e che i mezzi di comunicazione non ci aiutano a dire) e'
l'enormita' di cio' che ci sta capitando. Abbiamo ridotto una parte dei nostri
vicini a dei cani, la piu' progredita e civile secondo alcuni (come se mia
madre e padre fossero stati ridotti a chiamarsi Mussolini). La nostra
Costituzione e' stata calpestata su un punto di enorme importanza, quello del
rifiuto della guerra (non e' vero, replicano illustri giuristi che, in cambio,
calpestano la lingua e la logica, bel guadagno). La cultura politica di
sinistra, non si sa piu' a che cosa ancorarla (non di sicuro ai diritti umani
sbandierati da un paese che pratica e sostiene massicciamente la pena di morte,
oltre a tenere incarcerata la nostra Silvia Baraldini). Il prestigio politico
dell'Europa occidentale agli occhi di quella orientale e' stato perduto prima
ancora d'essere conquistato. Sulle finanze della Europa da poco unita gravano le
spese di una guerra imprevista e di un numero ancora incalcolabile di profughi
e, intanto, stiamo distruggendo le magre e sudate risorse di popolazioni che
saremmo chiamati ad aiutare...
In un paese chiacchierone come l'Italia, il silenzio di questi pensieri si e'
sentito. E pesa, cosi come pesa il fatto che non sappiamo che cosa fare. Si e'
risposto, da piu' parti, organizzando manifestazioni che pero' non potevano, non
possono attenuare il senso di impotenza Manifestare che cosa, contro chi? per
che cosa e chi? La risposta, secondo me, non va cercata nella penisola
balcanica, ma qui, nella nostra penisola. Stiamo facendo una guerra di cui non
si puo' discutere se sia sbagliata o giusta, perche' e' insensata. E senza
onore, data la disparita' di forze. Guerra decisa da uomini che vogliono
conquistare, per se' e per noi, un protagonismo che e' tutto al seguito degli
Usa, dopo che hanno (o abbiamo) rinnegato il nostro protagonismo originale - mi
riferisco alla differenza comunista e cattolica. Non e' un caso se i piu'
entusiasti (?) sostenitori della guerra Nato sono uomini estranei, se non
ostili, a entrambe queste culture della nostra storia.
Nell'elenco dei
pensieri pesanti che facevo sopra, mancano le sofferenze materiali e morali
delle popolazioni balcaniche variamente coinvolte nella guerra. Avessi potuto
completare l'elenco, non ce le avrei messe perche' le sofferenze non possono
essere contate, nel senso i entrare in una contabilita'. Altrimenti diventano
merce di scambio o propaganda, come sta succedendo. Bisogna tenerle presenti e
metterle in conto, non lo nego, anzi, ma come una voce di valore non
calcolabile. Come si fa? Ecco, questa domanda mi sembra speculare di quella che
ponevo all'inizio sul come si arriva a fare una guerra mondiale. Potrebbe essere
che alla guerra mondiale si arrivi perche' non sappiamo fare il conto giusto
della sofferenza, la nostra, l'altrui, l'incalcolabile sofferenza umana che, a
causa della nostra insipienza, diventa irrealta' e merce. Mi viene in mente
quello che scrive, parlando di giustizia sociale, il francese Dejours sulla
politica della compassione (cfr. Via Dogana 40/41).
Come si fa, allora? lo ho capito questo e così rispondo, che si fa con il
sapere della sofferenza patita personalmente. E sopportata, nel senso di
lasciarla convivere con il resto della propria vita, senza rimuoverla. Tenerla
presente, dunque, come un conto che non torna. Il luogo che così resta vuoto,
sarà il passaggio aperto perché altro possa avvenire. Voglio dire che, al
senso d'impotenza, si può tentare di non reagire, perché il vuoto che esso fa
rimanga aperto e disponibile all'imprevisto. Così che, morto il reagire, ma noi
ancora vive, vivi, riusciamo a captare tutte le voglie amorose e pacifiche che
volano nell'iperuranio o che sussurrano nel nostro intimo, per tradurle in
parole e azioni di questo mondo, per quanto possibile.
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RASSEGNAMOCI - rassegna stampa di materiali di base 27 settembre 1999